Non gli piacevano i pistacchi. Guardavano la vetrina della gelateria, dove erano esposti alcuni cartoni disegnati con sembianze di diversi ingredienti: una fragola sorridente («le fragole non sorridono»); una barretta di cioccolato ammiccante («ti avrei ingoiato prima di ammiccare»); una nocciola a braccia aperte («come se le nocciole avessero un’anima, dure come sono»); una tazza di latte fumante («ma come fa a fumare se è un gelato al fiordilatte?»); e così via esclamava critiche passando in rassegna ciascun disegno. Teo la guardava dal basso verso l’alto ridacchiando ad ogni uscita della sorella maggiore, per lui era normale sentirla commentare tutto e tutti, ne aveva sempre qualcuna senza risparmiare nessuno: beninteso, alle spalle o davanti alla televisione, ascoltando la radio o dalla finestra sul viale, ma mai in faccia al diretto interessato.
Non avevano trovato però un disegno a forma di pistacchio. La destra era serrata nella mano del fratello, serrata perché sarebbe bastata una distrazione e… puff, il marmocchio sarebbe entrato nella gelateria piazzandosi davanti al gelataio: tornare a casa, evitando scenate e capricci per un cono al bacio e alla panna, sarebbe stato alquanto improbabile; ancora peggio la vendetta di Teo: – «mamma, il Cinese che lavora da Cremino ha sorriso a Ro, e lei gli ha fatto ciao con la mano» – sarebbe stato sufficiente per non darle più i soldi per prendere il gelato, per cui doveva batterlo sul tempo e allontanarsi.
Non voleva andare in giro vestita come a scuola, ma indossare il grembiule era l’unica possibilità che aveva per poter uscire di casa con la scusa di portare qualcosa alla nonna, oppure di andare dalla signora Cè a guardare la tele con Teo. Un giorno avrebbe trovato un modo per scappare di casa, e finalmente si sarebbe vestita come avrebbe voluto lei. Girò la testa verso il fratello e dichiarò sorridendo: «Se arriviamo a casa prima che batta la mezza, la mamma ci farà assaggiare i biscotti per il compleanno di papà!».
Non avevano fatto che due passi, quando qualcuno li superò svelto e si fermò davanti a loro, porgendo la mano. Era il Cinese, era uscito da Cremino apposta per offrire due pistacchi. Ro guardò i frutti, spostando lo sguardo sulla mano pallida e indugiando sul viso del garzone: i due occhi a mandorla gli avevano valso il soprannome col quale era noto, facendo ignorare agli abitanti del paese il suo vero nome; si sapeva solo che era “forestiero”, e che veniva ogni giorno in bici. «Bicinese!» gridavano anziani e bambini quando passava pedalando per la piazza e per il corso, per poi scoppiare a ridere e avere un argomento frivolo del quale conversare, o meglio, un nuovo soggetto di cui sparlare.
«Non mi piacciono i pistacchi» mormorò Ro scuotendo la testa, mentre il Cinese veniva chiamato (non per nome) a gran voce in gelateria. «Ah, è il nuovo gusto che faremo» replicò il ragazzo spegnendo il proprio sorriso. Ro chiuse per un secondo gli occhi e poi tirò a sé il fratellino, e dopo aver oltrepassato il Cinese iniziò a correre senza mollare la presa.
«Bicinese!» urlò Teo, e sia lui che la sorella iniziarono a ridere allontanandosi sempre più.