Oggi ho ricevuto da Facebook ben 12 avvisi di 𝐨𝐬𝐜𝐮𝐫𝐚𝐦𝐞𝐧𝐭𝐨 𝐝𝐞𝐢 𝐦𝐢𝐞𝐢 𝐩𝐨𝐬𝐭 (inclusa una mia risposta a un commento) pubblicati sulle mie pagine social Iran Team Football e Calcio iraniano negli ultimi 3 mesi. Perché?
Secondo Facebook i miei post sono stati oscurati per violazione degli Standard della community. Così sono andato a rivederli uno per uno, e si trattava degli appelli contro la pena di morte in #Iran a seguito delle manifestazioni scaturite dalla morte di Mahsa Amini.
Ho pensato che fossero stati segnalati; ma – facendo un giro su questo social – ho visto che molti altri post con gli stessi hashtag #StopExecutionsInIran riguardo ai medesimi condannati, sono tuttora visibili.
𝐀𝐥𝐥𝐨𝐫𝐚 𝐝𝐢 𝐜𝐡𝐞 𝐬𝐢 𝐭𝐫𝐚𝐭𝐭𝐚?
A guardare bene i miei post (li trovate sotto) , TUTTI contengono dei link al sito di Mizan, l’agenzia stampa del potere giudiziario in Iran. Questo perché ho l’abitudine di citare le fonti, specie quando si tratta di quelle filo-governative. Probabilmente l’𝐚𝐥𝐠𝐨𝐫𝐢𝐭𝐦𝐨 di Facebook adesso colpisce anche i link ai siti della Rep. Islamica, con buona pace di chi vuole leggere direttamente le fonti.
Che il target sia Mizan, lo riprova il fatto che mi abbiano oscurato anche la risposta ad un commento, dove citavo il link ad un articolo sul processo al calciatore #AmirNasrAzadani. A proposito: se non ne avessimo parlato qui in Italia, 𝐜𝐢𝐭𝐚𝐧𝐝𝐨 𝐩𝐫𝐨𝐩𝐫𝐢𝐨 𝐝𝐚 𝐌𝐢𝐳𝐚𝐧 le preoccupanti dichiarazioni del capo della magistratura di Esfahan, probabilmente non se la sarebbe cavata in primo grado con la reclusione (altri 3 co-imputati sono stati condannati a morte).
U̲n̲’̲u̲l̲t̲i̲m̲a̲ ̲c̲o̲s̲a̲.̲
La notizia della morte di #MahsaAmini non è stata data dalla BBC o CNN o AFP, ma da una giornalista iraniana che risiede in Iran: il suo nome è Niloufar Hamedi ed è tuttora in carcere.
Forse sarebbe il caso di non filtrare (oscurare) le notizie con gli algoritmi, ma di dare voce a chi fa informazione a suo rischio e pericolo, inclusa la morte.
Grazie, Saman Javadi
Ovviamente ho contestato tutte e 12 le segnalazioni.
Viaggio nella storia dei due nomi per smentire un contrasto inesistente
articolo pubblicato “Il piccolo” bimestrale dell’Associazione Cardinal Ferrari della Compagnia di San Paolo, numero di Gennaio-Febbraio 2008
🎙️Ascolta "L'#Iran e la #Persia: due facce (apparenti) della stessa medaglia" su #spreaker 🌍 Viaggio nella storia dei due nomi per smentire un contrasto inesistente (Il piccolo, bimestrale dell'Ass. Card. Ferrari della Compagnia di S. Paolo, Gen-Feb 2008)https://t.co/r9cE1NzkSv
— Saman Javadi سامان جوادی (@samanjavadi) May 13, 2020
Sto leggendo che la cattedrale di Notre Dame è in fiamme. C’è scritto che ci hanno messo circa 200 anni per edificarla, e che adesso c’è il rischio che crolli tutto. Vedo le foto sul web, e per un attimo mi ricordo dell’incendio della Plasco. Ma, rispetto al grattacielo di Tehran, si tratta di una chiesa nata quasi un millennio fa.
A differenza dei miei genitori, non sono mai stato a Parigi, e non ho mai visto Notre Dame. Mi chiedo: perché questo funerale della Storia? Allora è vero che per creare possono non bastare 1000 anni, mentre per distruggere è sufficiente un momento?
Ma la prima cosa che mi è venuta in mente non è stato il Gobbo, ma una canzone dello Zecchino d’Oro: avevo 8 anni, la cantava un bambino francese, biondo e con gli occhi chiari, si intitolava “Gli angeli di Notre Dame“. Una musica che mi ispirò malinconia, e forse per questo è più facile ricordarla adesso.
Il 19 gennaio 2018 ricorre il primo anniversario del crollo del grattacielo Plasco a Tehran, causato da un vasto incendio scoppiato intorno alle 7,50 ora iraniana. Le cerimonie di commemorazione si sono tenute presso il cimitero di Behesht Zahra di Tehran.
Plasco Building, Tehran 1962
VV.F. Caduti
I Vigili del fuoco di Tehran erano subito intervenuti facendo evacuare la Plasco, e tentando di spegnere il fuoco. La TV di Stato dell’Iran e i giornalisti seguivano in diretta le operazioni, diventando testimoni di una catastrofe: il rogo portò al crollo della struttura, al cui interno vi erano ancora i pompieri.
Anche i media internazionali riportarono le notizie ufficiali date dalle autorità: dei 200 vigili del fuoco intervenuti, 20 erano morti, 70 feriti di cui una ventina gravi. Numeri messi in dubbio dagli iraniani, sospettando che siano molto più alti.
I pompieri che persero la vita vennero subito definiti Shohadà, espressione utilizzata nell’Islam nell’accezione di “martiri”, e che in italiano si può tradurre con Caduti.
Inizialmente si sospettò che a causare l’incendio fosse stata una perdita proveniente da una bombola di gas: l’ipotesi non era del tutto inverosimile, poiché l’edificio ospitava diversi uffici oltre ad un centro commerciale. Ma anche chi non aveva basi di ingegneria o architettura iniziò a pensare che il motivo del crollo fosse strutturale: avvolta dalle fiamme, la Plasco si sbriciolò in maniera esattamente verticale, senza alcun coinvolgimento delle strutture circostanti.
Dopo 3 mesi la stampa iraniana confermò che nel dossier presentato al Presidente della Repubblica, Hassan Rohani, veniva menzionata la Fondazione Mostafazan – proprietaria dell’edificio – in quanto non aveva ottemperato ai richiami sulla necessità di ristrutturare la Plasco per pericoli lato safety.
Plasco 1962-2017
La Plasco fu il primo grattacielo della storia dell’Iran: venne edificato nel cuore della capitale nel 1962 su impulso di Habib Elghanian, prendendo il nome della fabbrica di plastica che vi si stabilì.
Ad un anno di distanza le foto e i video della distruzione della Plasco sono sconvolgenti, e lo diventano ancora di più quando si riflette che in quelle fiamme e in quel fumo c’erano vigili del fuoco.
Qualche giorno fa, il 14 gennaio 2018, un’altra tragedia ha scosso il paese mediorientale: la petroliera Sanchi è affondata nel Mar Cinese Orientale. L’equipaggio della nave è rimasto intrappolato in un incendio durato più di una settimana: sono morti 30 iraniani e 2 bengalesi.
Cittadella di Rayen nella Regione di Kerman, sud-est dell’Iran: realizzata interamente in mattoni, fango e paglia durante la dinastia Sassanide (VI sec. d.C.) Escursione del 3 Marzo 2017
On 7 June 2017 I couldn’t imagine to read so bad news from Tehran: a double attack to Iranian Parliament (Majles) and to Imam Khomeini mausoleum. Various videos, pics, tweet, posts, articles, everywhere one word: terrorism. In the Persian Calendar the day is 17 khordad 1396, surely a historical date in the history of Iran.
To fear is human, but human is not only to fear. This is the reason why I want to post everyday a pic from Iran – not only Tehran – showing how life normally goes on there.
Project management è un’espressione da un po’ di tempo sempre più diffusa nel mondo del lavoro: richiesta come esperienza, skill (abilità), attività principale descritta in un’offerta lavorativa. In sé comprende le tecniche di gestione di un programma o progetto peril raggiungimento di un obiettivo (ad. es. la realizzazione di un prodotto industriale). Si cercano project manager nelle aziende farmaceutiche, nelle industrie automobilistiche, nelle imprese di telecomunicazione; con il passare del tempo il campo si è esteso agli enti pubblici e all’organizzazione degli eventi. Anche per questo motivo la figura del project manager non è di esclusiva di chi ha studiato ingegneria gestionale, ma sovente viene ricoperta da laureati in scienze politiche, lingue, oppure da diplomati con esperienze professionali.
Dal 1° maggio 2017 sarà disponibile su Amazon il libro “Field Operations Management in a Major Event Project” di Francesco Difilippantonio, che parlerà di un tipo di project management – la gestione delle operazioni sul campo – nel contesto dei grandi eventi. Il libro a mio avviso soddisfa alcuni requisiti importanti per una pubblicazione di questi tempi, specie se di taglio scientifico:
non è un mattone, visto che consta di circa 80 pagine;
l’argomento è originale, trattandosi della prima volta in cui in Italia (e in italiano) si parla di gestione delle operazioni sul campo nei grandi eventi;
i destinatari del libro possono essere sia le aziende sia il singolo potenzialmente interessato ad organizzare un grande evento, facendo tesoro delle tecniche descritte;
l’autore dà un’impostazione smart ai concetti, aggiungendo all’aspetto logico (proveniente dalla teoria) quello umano (proveniente dall’esperienza pratica)
il volume gode della valutazione positiva di Manuel Di Casoli e Antonio Calabrese, due personalità appartenenti al mondo del project management, ma con esperienze accademiche e professionali diverse.
Ho incontrato l’autore (classe 1983), con il quale ho lavorato in passato proprio in un grande evento, per saperne di più. Frank non si è tirato indietro, e mi ha raccontato in anteprima qualcosa di “Field Operations Management in a Major Event Project”.
· Prima di farti qualche domanda sul tuo libro, è utile ricordare che sei un ingegnere gestionale e farci spiegare il termine “operations” per i non addetti del settore.
· La parola Operations è traducibile impropriamente col termine Operazioni in italiano, ma è l’unico che si avvicina al concetto. Il termine “Operate” infatti, tradotto dall’inglese, significa anche “funzionare, gestire, lavorare, agire e soprattutto far funzionare”. Normalmente le Operations nella definizione italiana sono un elenco abbastanza rigido di funzioni aziendali, la mia definizione è di stampo più anglosassone ed è incentrata sul verbo fare: sono sostanzialmente le componenti aziendali che fanno la differenza nel rapporto finale tra azienda di servizio e cliente finale, dal momento che, in una logica di catena, sono l’ultimo step. Che eredita possibili errori e che non ne deve commettere.
· “Field operator” letteralmente significa operatore sul campo, un’espressione che teoricamente potrebbe applicarsi a numerose figure, non solo di lavoratori. Cosa identifica con precisione il field operator? Quali sono i suoi compiti?
· Il Field Operator è la persona attraverso la quale le Operations legate al territorio in cui il servizio è offerto, ovvero le Field Operations, creano valore aggiunto per il cliente finale, in primis mantenendo o migliorando – se necessario – il livello di servizio in uscita dalle funzioni aziendali precedenti, dopo di che nella gestione quotidiana e nella risoluzione rapida dei problemi che si possono verificare. I compiti sono variabili in funzione degli eventi, si tratta di effettuare controlli di qualità del servizio in determinate aree alle quali sono assegnati, in una logica mista di fidelizzazione dei clienti e flessibilità di utilizzo anche su aree a cui non sono assegnati, in funzione dei carichi di lavoro e dei momenti della giornata. Nel libro è presente un capitolo specifico volto a spiegare tale concetto, anche con esempi grafici.
· Parlando del “campo”, ritieni che questi operatori siano più utili in un’azienda o in un evento? C’è un requisito dimensionale minimo?
· Per esperienza, quando parlo di Field Operations in Italia ad aziende che non hanno una impronta multinazionale, nessuno sa cosa è. Eppure molte tra esse hanno tanti Operatori che chiamano in altri nomi: commessi, riders, operai, venditori e salesforce , steward e hostess, etc… Il passaggio di livello di tali mansioni “monotematiche” è considerare loro di più, non solo per il compito principale che svolgono. Per esempio, attraverso un sistema di reportistica efficace, un commesso di una grande catena di elettrodomestici può evidenziare o meno quante persone vedono quali prodotti, se tutto il loro interesse si concentra su pochi pezzi; i venditori stringere contatti coi migliori clienti e prendere da loro informazioni utili per migliorare, per esempio, un elemento di quel che vendono, se si tratta di cibo possono chiedere se c’è troppo olio o sale. Gli operai possono dire in produzione di cambiare la posizione di un pezzo nella catena perché in quel modo sono più veloci nel prenderlo ed assemblarlo con altri pezzi, e così via. Di esempi ce ne sarebbero tanti. Quel che voglio dire è che oggi il commesso che aiuta nella vendita, il rider che consegna, il venditore porta a porta e chi controlla il corretto svolgimento di un evento non devono svolgere solo ed unicamente quel compito, ci sono migliori opportunità aggiuntive per tutti loro. Legate anche all’ambiente in cui operano, il Field. Sui requisiti minimi direi un paio di decine di persone possono già rappresentare una Field Force su cui vale la pena approfondire queste potenzialità, soprattutto legate al rapporto col cliente finale e alla raccolta e gestione dati.
· Non pensi che si possa sovrapporre il ruolo di field operator con quello di altri operatori? Ad esempio con coloro che si occupano di sicurezza, intesa sia come safety che come security.
· Dipende dall’azienda e dal settore in cui operano. Ad esempio nei grandi eventi c’è una sovrapposizione minima in base o meno alle qualifiche che il Field Operator ha ottenuto, ovvero se è stato formato su temi di Safety e Security. Più probabile la prima, in qualità di Addetto al Primo Soccorso o Antincendio, di solito al livello base. Safety e Security sono tuttavia due servizi imprescindibili per i grandi eventi ed hanno al loro interno personale molto più qualificato dei Field Operators, che servono da supporto.
· Quanto può essere di aiuto la tecnologia in questo lavoro?
· La Tecnologia nel 2017 è praticamente ovunque, per cui l’Italia – non solo nelle Field Operations -deve compiere un grande salto in avanti ed allinearsi a tanti altri paesi europei che hanno introdotto ormai da anni gli aspetti tecnologici nel mondo lavorativo. Non parlo dell’Industria 4.0 ma ad esempio dell’utilizzo di tablet, sistemi di videochiamata su Skype, sistemi di comunicazione interna tramite casse bluetooth o microfoni, ripetitori Wi-Fi se non c’è campo, tutti elementi con una spesa sotto i 100€. Anche le App possono aiutare a migliorare la gestione lavorativa, potendo andare a convergere e portare i dati in un unico punto di controllo strutturato per il troubleshooting e l’indirizzamento per la soluzione dei problemi più complessi e non immediatamente risolti dal Field Operator locale.
· Possiamo definire questo libro come un manuale di project management?
· In parte sicuramente, in quanto sono presenti tecniche di gestione, alcune delle quali a carattere innovativo, si parla anche dei classici, ovvero di attività, triplette, matrici, aggiungendo qualche novità ovvero il superamento dei classici tempi, costi e qualità a vantaggio di tre voci già ampiamente citate, ovvero le Persone, la Comunicazione e la Tecnologia. Ci sono poi anche tanti riferimenti all’altro grande macro-tema dei grandi eventi, e soprattutto su come si conciliano al meglio questi due mondi. Mettendo al centro di tutto la Visitor Experience che, poi tradotta, vuol dire l’importanza del cliente finale.
“Field operations management in a major event project” by Francesco Difilippantonio
Gol be gol – negozio fuori dall’aeroporto Imam Khomeini
Dopo essere atterrati all’ “Imam Khomeini” a Tehran, le prime cose che vedete fuori dall’aereoporto sono i taxi e un negozio di fiori, aperto anche alle 2 di notte.
Al contrario che in altri Paesi, in Iran si regalano fiori non solo alle donne e alle ragazze, ma anche agli uomini e ai ragazzi: quando le nazionali di calcio di Iran e Stati Uniti si affrontarono ai Mondiali di Francia 98, prima del fischio d’inizio il capitano iraniano Abedzadeh donò un grande mazzo di fiori al capitano americano Dooley, e poi le due squadre fecero una foto insieme.
Taxi a Tehran – aereoporto Imam Khomeini
Nel vostro primo giorno persiano, quando vi svegliate provate una colazione completa iraniana. Tè nero o verde, latte, pane, burro, formaggio, noci, uova, cetrioli, torta, limonata e frutta.
Sì, frutta, proveniente da diverse zone dell’Iran: in autunno melograni da Saveh, in inverno limoni dolci (Citrus limetta) da Jiroft, in primavera meloni da Bandar Abbas, in estate angurie da Mashhad.
Se volete imparare qualcosa sull’Iran e sugli Iraniani, visitate la capitale: Tehran. Qui inizia il nostro viaggio…